TerzOOcchio
‘Parafrasando Baudrillard’ Antonia Ruggeri
Luciano Bertoli
Se un filosofo come J. Baudrillard adotta una prospettiva sulla contemporaneità che si avvicina a una
sorta di cosmo fantascientifico, non è per una “pruderie fin de siècle”, come molti definiscono tutto
quello che si dipinge vagamente di tinte post-moderne, ma proprio perché l’immaginario che è sempre
stato della fantascienza si impone sempre di più come lo “stato delle cose” per dirla con Wenders.
Albe e tramonti di scenari catastrofici tra strade deserte e rottami di auto, diventano un po’ banalmente
scenari baudriellardiani. Ma non sono termini di una seppur scottante attualità post- nucleare ad aver
occupato gli interessi e l’impegno di questo filosofo; la catastrofe è un’altra. Il deserto metropolitano come
la città autostrada diventano metafora di una metropoli futuribile, straordinariamente attuale, in cui lo
spettacolo del consumo, e la spettacolarizzazione totale operata dai media compiono la sparizione della
scena sociale e politica tradizionalmente intesa “ vedi Amerique” di prossima pubblicazione in Italia).
Il mondo dell’informazione diventa il mondo della simulazione e il problema delle tecnologie comunicative
diventa innanzitutto un problema politico. Informazione significa illogico appiattimento spettacolare e
l’informazione viene usata per una politica dello straniamento che punta dito sul fatto diverso, che fa
notizia, consumato perversamente sulla poltrona di casa nostra. Dietro a ciò c’è l’idea che il sapere è un
elemento del funzionamento sociale, e che il sociale funziona come una macchina. Ma come funzionerà
la macchina sociale nell'epoca dell’elettronica? L’era elettronica produce sulla macchina sociale l’effetto
che i “buchi neri”creano nello spazio. Sparizione del politico dell’Arte, con la A maiuscola. Così i Graffitisti
lanciano una guerra della significazione ai segni di una metropoli e al potere dell’informazione.
Così il teatro della “nuova spettacolarità” dei Magazzini Criminali, come Società Raffaello Sanzio, sfugge alla messa in scena teatrale. Si mettono insieme materiali e immagini dai contesti più diversi, dai mass-media all'arte. Ed ecco che la scena della rappresentazione e la scena della città
coincidono; è lo scenario di una storia mutata … quella della metropoli forse. Per concentrazione, per immagine vissuta all'eccesso dal sipario strappato emerge la figura di una nuova identità, pubblicitaria di passaggio, che ha sostituito allo specchio l’immagine di mille monitor tv.
Se Baudrillard comincia a parlare della società attuale come società post-istorica in cui il concetto di sociale e di politica risulta insufficiente a descrivere la situazione attuale è perché si da un sistema in cui a un massimo di informazione, a un massimo di circolazione, corrisponde allo stesso tempo una specie di coma politico, di coma sociale definibile con il termine di “implosione” allora s’affacciano sulla scena urbana tragiche finzioni di paesaggi metropolitani come: ‘Città Alcolica’, ‘Diade Diacronico’, accattivanti sculture cinetiche di Luciano Bertoli 1982.
Se da un lato Baudrillard non fa che descrivere i termini di una crisi che è quella storica della fine delle utopie rivoluzionarie, dall'altra, al ritmo di un tam tam, come chi da ciò che è solo deserto fa nascere un fiore, introduce i termini di una società post- mass-media; una società della spettacolarizzazione totale operata dai media, Baudrillard introduce un magico termine che è anche gioco di parole: ob-scene. Nella società dei simulacri è il regno delle apparenze che pone fine alle utopie rivoluzionarie e le apparenze pongono fine alla rivoluzione del senso e della profondità.
Ciò che Baudrillard si chiede è cosa succeda in una società dove il più forte legame è costituito dalla produzione massmediatica. Le riflessioni del filosofo ci portano ben lontano da tutti quei movimenti artistici che si dichiarano a gran voce trans o post, transavanguardia compresa, e che non fanno che leggere la storia per flussi e riflussi.
Così alle poetiche del sociale che hanno caratterizzato gli anni ‘70 non seguirebbe negli anni ’80 che un ritorno al privato, al personale del fare arte tirando un neoespressionismo o un neomanierismo, iscrivendosi in realtà in uno dei più grandi movimenti restauratori di cui si abbia memoria, sclerotizzando in un’opposizione del sociale/privato, quella che si può definire tipologia di un’epoca ‘post mass-media’.
ANTONIA RUGGERI.
Città Alcolica